«Siamo punto e a capo».
Con un sospiro che aveva tutta l’aria di essere uno sfogo dovuto alla stanchezza accumulata nella giornata, Amanda si teneva la testa tra le mani, china sulla scrivania; lo sguardo era apparentemente perso nel nulla ma il cervello lavorava indefesso per risistemare ancora una volta tutte le tessere del mosaico. Perché di quello si trattava, di una composizione insidiosa cui mancava sempre l’ultimo quadratino, più introvabile degli altri.
L’autopsia aveva confermato la causa del decesso, avvenuta per commozione cerebrale, prima, quindi, della pur rovinosa caduta dalla scogliera. La mazza da cricket era stata, con tutta probabilità, l’arma dell’assassino.
Ma erano stati i risultati delle ricerche di Tony a dare una svolta inattesa al caso: il portachiavi della squadra oxoniense di canottaggio apparteneva a Mary che si era laureata in Inghilterra. Sì, era suo, aveva ammesso con sincero stupore ma non l’aveva con sé quella sera. La scientifica aveva, in ogni caso, rilevato le sue impronte ma ad insospettire Amanda era l’insistenza con cui Mary si ostinava a ripetere di non averlo avuto in tasca.
Mary si era incolpata per salvare John, John l’aveva scagionata assumendosi tutta la responsabilità. Per quanto ancora sarebbe andato avanti questo estenuante rimbalzo?
Il portachiavi non era certo una prova ulteriore a carico di Mary che non aveva mai negato di essere sul posto, né di possederlo. Ma se non l’aveva portato con sé – e non c’era motivo di dubitare della sua versione – perché era lì? Inoltre la mazza da cricket, priva di impronte digitali, sembrava non appartenere a nessuno dei due. Mancava quella tessera perché il mosaico fosse completo.
«Da capo» mormorò tra sé Amanda: «Michael si innamora di Mary ma non è corrisposto perché Mary ama John. Michael si vendica nel più vile dei modi… Tony!» chiamò a voce alta, «hai avuto quel nome dall’Interpol?».
«Sì» rispose Tony recuperando un foglio sotto una pila di raccoglitori, «la bestia che ha violentato Mary si chiama Daniel McWood e ha finito di scontare la pena giusto il mese scorso. Ma dov’è Lord LittleWhite? Doveva essere qui da un pezzo».
La situazione era precipitata nel giro di pochi minuti.
Tony aveva telefonato al capo di New Scotland Yard per avere sue notizie; LittleWhite, avvisato da un agente di Doolin, stava aspettando Amanda, Angela e Tony sulle Cliff, nel punto in cui era avvenuto l’omicidio, ormai da un quarto d’ora. «Non capisco» stava commentando Angela sbalordita «siamo in ufficio soltanto noi, oggi, e nessuno ha usato il telefono. In ogni caso l’appuntamento era qui».
Amanda si intromise nella conversazione e chiese a Lord LittleWhite se avesse avuto modo di leggere il suo rapporto e quali fossero le sue conclusioni. «Quale rapporto?» fu la risposta. «Quello inviato all’attenzione di Jonathan Curtis, il suo assistente», ribatté Amanda. «Non è possibile, mia cara! Jonathan è comodamente sdraiato al sole di Santorini. Rientrerà a Scotland Yard soltanto la prossima settimana.»
Fu un lampo. Contemporaneo. Nella mente di quattro investigatori. Il sovrintendente capo di New Scotland Yard era in pericolo.
Arrivarono alle Cliff accompagnati dallo stesso vento sferzante del giorno in cui si era consumata la tragedia. Di LittleWhite nessuna traccia. Amanda si era persa, staccandosi dal gruppo. Improvvisamente una macchia scura emerse dalla nebbia creata dalla pioggia ma il vento spingeva contro l’avanzata di Angela e Tony che tentavano invano di correre. Finché la macchia nera sembrò inciampare e cadere. E poi… E poi fu tutto buio.
E dopo il buio, una flebile luce e il suono preoccupato di un bisbiglio.
Si trovavano all’ambulatorio di Doolin: Angela, Tony, Lord LittleWhite con un braccio fasciato e Amanda, sdraiata su un lettino, con un forte mal di testa e i ricordi ancora confusi.
Le manette ai polsi, sorvegliato da due agenti armati, stava seduto un fagotto nero: Daniel McWood.
Appena uscito dal carcere, aveva voluto vendicarsi e togliere di mezzo il suo accusatore. Introdottosi in casa di Mary, le aveva rubato il portachiavi, in un ingenuo tentativo di addossarle la colpa. Quando aveva scoperto la parentela tra Mary e il capo di Scotland Yard, era riuscito a introdursi negli archivi della polizia britannica, scoprire il nome di Jonathan Curtis e assumerne l’identità durante la telefonata con Tony. Intercettato il rapporto di Amanda, si sentì in pericolo: Scotland Yard andava eliminata. Telefonò a LittleWhite spacciandosi per un agente di Doolin e gli diede appuntamento alle Cliff of Moher. Lo raggiunse alle spalle, braccandolo.
Ma Amanda, staccatasi dal gruppo, nonostante la bufera, aveva individuato i due e, a sua volta, cercato di bloccare l’aggressore: un colpo alla testa, parzialmente ma miracolosamente bloccato da LittleWhite, aveva evitato il peggio.
Doolin era un paesino incantevole. Qualcuno ne aveva sconvolto l’esistenza, molto più di una bufera o di una tempesta marina. Il temporale di fine estate aveva spazzato via le nefandezze degli ultimi giorni.
Lord LittleWhite indossava un elegantissimo trench mentre sorseggiava la sua Guinness in compagnia dei suoi nuovi amici: «Avrò qualcosa di sensazionale da raccontare a Lady Victora Scartox. La rivedrò lunedì e, prima o poi, conoscerete anche lei»
3 commenti:
alla facciaccia del noir! a momenti restavamo senza Little White e la povera Amanda con il bernoccolo in testa pur di salvarlo! Vabbè tutto è bene quel che finisce bene
Il sacrificio di Amanda non è stato vano. Il blog ufficiale è già on line...!
ma va?
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