Credevo che le guerre riguardassero gli altri. Fino a undici anni, vivendo in Bosnia, sapevo soltanto che erano avvenute molto tempo prima, come la Prima e la Seconda mondiale, oppure scoppiavano in Libano, in Africa, in paesi lontani. Anche mentre la guerra avanzava lentamente verso Sarajevo, la città dove sono nata, strisciando nelle città e nei villaggi dei dintorni, continuavo a pensare che non mi avrebbe mai raggiunta. Le guerre sono come le malattie più gravi, come la povertà, come tutte le cose brutte che accadono nel mondo: sappiamo che esistono, ma sappiamo che a noi non capiteranno mai. Cercando istintivamente di proteggerci, e sperando così di evitarle, preferiamo non pensare alle guerre e le destiniamo ad altri, lontano da noi.
Zlata Filipović e Melanine Challenger, Giorni rubati. Gli orrori della guerra nei diari dei ragazzi, Cairo Editore
Nella giornata dei funerali di stato per i nostri militari caduti giovedì scorso in Afghanistan, vorrei segnalarvi questa emozionante raccolta di lettere, pubblicata qualche anno fa da Cairo. Sono scritte da bambini protagonisti passivi, e loro malgrado, di conflitti armati, dalla prima guerra mondiale all’Iraq. Pur con le loro specificità, le differenze di prospettiva e le diversità stilistiche ed espressive dovute a periodi storici e culture, rimane una domanda comune, senza risposta, che è al tempo stesso una condanna: che senso ha avuto la guerra?
Per non dimenticare, certo, ma anche per capire ed evitare la reiterazione dell’assurdo.
2 commenti:
grazie per questa proposta di lettura.
Nel 1975 ricorreva l'anniversario della fine della seconda guerra mondiale e le nostre professoresse delle medie, alcune delle quali erano state staffette partigiane, ci riunirono in tre momenti di riflessione e memoria: ci portarono a vedere un documentario girato immediatamente dopo la chiusura/apertura dei lager nazisti, la visione di quella raccolta di quotidianità devastate (montagne di occhiali, di dentiere, di capelli) sopravvissuti ai loro proprietari, straziò il mio cuore di bambina. Poi ci portarono ad assistere alla proiezione di "L'Agnese va a morire" un film sulla lotta partigiana. Infine ci lessero, con voce rotta dall'emozione, le lettere dei partigiani dalla prigionia e dalla macchia. Erano lettere comuni, che ognuno di noi potrebbe scrivere, ma con la consapevolezza che quella poteva essere l'ultimo pensiero per i propri cari. Tutto ciò mi ha formata, ed è anche grazie a questi insegnamenti che oggi dico e dirò per sempre: IO RIPUDIO LA GUERRA. Oggi molti non sanno neppure cosa si festeggia il 25 aprile e quanto sangue è costata la nostra costituzione, troppo spesso violata. E nessuno pensa che 60 anni sono un battere d'ali
Amanda concordo in pieno. Si dimentica molto facilmente, senza capire la portata effettiva di quello che è una guerra. Grazie a Dio la nostra generazione non l'ha vissuta e ogni volta che mi imbatto in una qualche testimonianza di conflitto più o meno recente, non importa, mi vergogno un po' di tutte le volte che mi lamento della situazione italiana. Mai abbassare la guardia, certo, ma neanche disprezzare acriticamente o dimenticarsi che siamo il risultato di un passato ben peggiore e truce di quello che stiamo (fortunatamente) vivendo ora
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